Non che manchino, come da programma, i suoi muscoli, e neanche le scene violente così care all’ex culturista di origine austriaca, ma in questo film la sua figura non è più, come in altri film precedenti, (Conan il Barbaro, Terminator, Commando o Predator) ricamata solo sulla sua muscolatura e sulla sua fisicità prepotente.
Un personaggio più complesso, che si trova a dover combattere non tanto contro i soliti nemici più o meno vogliosi di distruggerlo, quanto piuttosto contro una realtà che sfugge ad una interpretazione razionale, e si dimostra fatta di paraventi e di false prospettive che a lungo terranno testa all’eroe.
Non bisogna dimenticare che il film, girato da Paul Verhoeven, è tratto da un racconto del celebre scrittore di fantascienza Philip K. Dick, uno dei maestri incontrastati della science fiction degli anni ’60, ed anche uno dei più visionari. Il racconto, come altri dello stesso autore, ben si presta a rappresentare una realtà fatta di simulazioni, in cui i personaggi nuotano come in un acquario, mossi da forze sconosciute il cui disegno rimane per lungo tempo inspiegabile, e che solo per puro caso arrivano a comprendere che la realtà in cui sono immersi è fittizia ed irreale, utilizzata per nascondere quella vera e tenere quindi soggiogati i personaggi dell’azione.
Come in Blade Runner, dove i personaggi che insegue Harrison Ford sono in realtà “replicantiâ€, oppure in The Truman Show, dove Jim Carrey scopre che il suo mondo in realtà è un immenso set televisivo in cui tutti, escluso lui solo, sono degli attori.
Lo stesso plot narrativo sarà anche alla base della famosissima trilogia di Matrix, che sul finire del millennio riproporrà al pubblico l’ipotesi che il mondo in cui viviamo non è altro che una rappresentazione.
Un po’ come Alice nel Paese delle Meraviglie, quando si domanda se essa stessa e tutto ciò che la circonda non sia altro che un sogno del Re Rosso…