127 Ore, recensione

127 Ore, recensione

127 Hours è il film di Danny Boyle che uscirà nelle sale italiane venerdì 25 febbraio e che vede James Franco nei panni del protagonista.
Strano è il connubio tra la pellicola molto statica ed il regista invece sempre sovraeccitato e in continuo movimento: Boyle è andato a cimentarsi in una storia che all’apparenza ha davvero poco movimento dato che racconta le terribili e drammatiche 127 ore in cui un alpinista è rimasto bloccato in un crepaccio del Gran Canyon, sopravvivendo grazie all’auto amputazione di un braccio.



Invece, nonostante l’immobilismo della situazione, Boyle riesce a dare un dinamismo ed un pathos eccellenti, grazie anche all’utilizzo sfrenato di flashback riguardanti la vita del protagonista (un po’ come ha fatto nel pluri premiato the Millionarie).
Questo continuo rivivere da parte del protagonista la sua vita nella sua mente, diventando man mano sempre più veloce ed allucinogena, lo porta ad una sorta di catarsi, data dall’amputazione dell’arto e dallo sviluppo dentro di sè di una saggezza a posteriori.
Questo fa sì che la pellicola sia incalzante, anche se in realtà analizza la società americana nel suo cercare la massificazione ma allo stesso tempo spinge gli individui a cercare se stessi facendo azioni quasi del tutto prive di senso.
Il protagonista si trova così a lottare con i suoi demoni fino ad arrivare a vere e proprie allucinazioni che sviluppano coerentemnte la dianmica del racconto.
Se vi sono piaciuti i precedenti lavori di Boyle da Traispotting in poi (togliendo la parentesi The Beach), allora il film non va assolutamente perso.