Tutti e tre si sono gentilmente resi disponibili a rispondere alle domande di noi giornalisti.
D. In questo film colpisce molto la forza della sceneggiatura, che presenta una storia ricca di contrapposizioni….
R. Toni Servillo: È vero. La prima contrapposizione presente è quella riguardante la duplice natura del personaggio di Toni Servillo: da un lato padre e marito amorevole che conduce una vita tranquilla, per l’appunto, e dall’altro spietato killer camorrista.
Anche le tre lingue che parla (italiano, napoletano e tedesco) rappresentano altrettanti modi per nascondersi, per sfuggire ad un passato che inevitabilmente ritorna (sotto le spoglie di un figlio che ha deciso di seguire la sua stessa vita), perché Rosario è il prototipo del criminale nascosto che vive costantemente nella paura.
D. È possibile che ci siano delle similitudini tra il personaggio di Rosario e Titta de Le conseguenze dell’amore, come ad esempio la solitudine presente in entrambi?
Toni Servillo: Non credo che la solitudine sia un elemento sufficiente ad accomunare i due personaggi, perché comunque in questo caso vediamo un papà felice, almeno finché il passato non ritorna.
Personalmente non ho riscontrato alcuna somiglianza fra i due: ho fatto un lavoro completamente diverso per immedesimarmi nell’uno e nell’altro, anche perché Rosario, differentemente da Titta, è chiacchierone, allegro ma anche spietato.
Lui non subisce, ma reagisce.
D. Spesso il personaggio di Rosario viene inquadrato tramite un vetro, che lo riflette o comunque lo separa, come uno schermo…
Claudio Capellini: Sì, c’è sempre uno schermo, ma riguarda anche gli altri personaggi, proprio per raccontare la loro solitudine e chiusura rispetto al mondo circostante.
Si tratta di uno stratagemma narrativo che rende visivamente il loro essere braccati: come una sorta di velo trasparente che li separa da tutto e tutti.
D. Marco D’Amore, questo film per te rappresenta il tuo esordio cinematografico, dato che prima ti sei occupato solo di teatro. Come hai fatto a costruire il personaggio di Diego?
Marco D’amore: Io ho avuto la fortuna, fin da giovanissimo, di poter lavorare con la compagnia di Toni, di recitare nel Pinocchio di Andrea Renzi, dove Toni era uno degli attori; dopodiché sono venuto a Milano a studiare, e qui ho frequentato la Grassi, per poi lavorare con una compagnia romagnola che si chiama “Le belle bandiereâ€.
Poi c’è stato quest’incontro con Claudio, che ha segnato la mia prima volta al cinema, permettendomi appunto di debuttare con un ruolo molto complesso.
È un personaggio che tiene segreti i suoi sentimenti, che vive in una dimensione di silenzi, almeno fino all’ultima battuta, quando grida al padre: “Perché non mi hai portato con te??â€, sfogando così tutto il suo dolore.
D. Per costruire il personaggio di Rosario si è avvalso della sua esperienza di recitazione teatrale?
Toni Servillo: Il teatro è la mia occupazione principale, quindi è inevitabile che mi abbia aiutato nella creazione del personaggio.
Ho un rapporto quotidiano con la recitazione teatrale, quindi per me è un vero e proprio allenamento, anche se è vero che teatro e cinema sono molto diversi tra loro: sono un po’ come un marito ed una moglie che devono dormire in camere separate, ma alla fine si aiutano e sostengono a vicenda.
D. Claudio, nelle note di regia hai affermato che in questo film sono presenti i tuoi ricordi d’infanzia…
Claudio Capellini: Sì, perché abbiamo ambientato questo film in un piccolo paesino vicino a Francoforte.
Io vengo da Padova, e mio padre da un paesino lì vicino: quei posti danno sempre la sensazione di nascondere qualcosa sotto il loro apparente strato di serenità .
D. Mi ha colpito molto la luce presente nel film…
RClaudio Capellini: Quella è una cosa sulla quale abbiamo lavorato fin da subito col direttore della fotografia.
Dopo i primi sopralluoghi in Germania, e pensando alle tematiche del film, abbiamo subito capito che questa luce doveva essere molto fragile, molto debole, leggera…dovevamo cercare di neutralizzare il più possibile i colori.
Quando invece poi siamo nei boschi c’è tutto un altro tipo di sentimento: la luce è più forte, perché la foresta nel film, è teatro di eventi minacciosi, quindi doveva schiacciare, anche visivamente, con colori brillanti.
D. Per il protagonista sembra che la cosa che conti di più sia vivere: è disposto a fuggire abbandonando così una vita idilliaca, pur di non rischiare di morire…
Claudio Capellini: E in questo sta proprio la sua umanità : il suo terrore di morire.
L’unico sbaglio che fa nel suo piano di scomparire è quello di far sapere al figlio dove si trova, ed è per questo che alla fine deve fuggire di nuovo.
D. Perché per il protagonista avete scelto il mestiere di cuoco? Non è una professione un po’ troppo “visibile†per uno che vuol nascondersi?
Claudio Capellini: No, perché comunque si tratta del cuoco di un piccolo paese della Germania, in un piccolo ristorante.
E poi lui si è costruito una vita falsa, passando attraverso vari lavori: diventa cuoco solo quando si sente davvero al sicuro, anche se poi, di fatto, non lo è.
D. Quando Diego porta Mathias in piscina, è perché anche lui vorrebbe una vita normale come la sua?
Claudio Capellini: Sì, ed allo stesso tempo la respinge. Questo perché lui, fin da piccolo, è cresciuto seguendo le regole della malavita, come Eduardo, che è un po’ l’altra faccia della medaglia.
Diego, però, si sente diviso a metà : perché da un lato vorrebbe una vita normale, ma dall’altro è troppo legato alla sua.
D. Il cinghiale, che più volte appare nel film, è un simbolo?
Claudio Capellini: certo, è il simbolo per eccellenza dell’animale braccato, proprio come braccato è il protagonista.